venerdì 31 marzo 2017

7x7 con Cristina Alziati: "Come non piangenti" in una lettura di Alessandra Conte (settima puntata)


7x7 è una rubrica articolata in regolari uscite metrico-stilistiche nell'arco di sette venerdì e dedicate ad un libro. Come non piangenti è il libro di poesia di Cristina Alziati, pubblicato da Marcos y Marcos nel 2011 nella collana Gli Alianti, per il quale è stata scelta l'immagine emblema del Vergesslicher Engel di Paul Klee. Le analisi sono tratte da un più ampio studio di Alessandra Conte, dedicato a Cnp nel 2014.


Sono rimasta in un piccolo 
vento impigliata, fra un nespolo 
un ciliegio un fico. La bellezza
degli alberi è impressionante,
te lo dico ora così.
Tornerò a sciogliermi, più tardi
dentro il tempo archimedico, del mondo
presso la rosa, che non è la rosa
che è diventare una rosa.




Nello spazio della poesia pensante di Cristina Alziati ci sono pagine e versi anche per la sola bellezza. Il testo che inaugura la sezione Breviario propone la cartolina di un’estasi percettiva, un attimo immobile in cui tutto è fermo ed eterno e rivela bellezza impressionante, che l’autrice contempla tra gli alberi. Si tratta della stessa bellezza “che può e deve”, secondo l’Alziati, “tornare anche nel movimento delle cose e nel mondo”[1]. Il testo, compatto in nove versi di media misura compresi tra l’ottonario – in maggioranza – e l’endecasillabo, racchiude molto del panorama e dell’immaginario letterario di formazione dell’autrice, a cominciare dalla figura dell’albero. In tre periodi giustapposti asindeticamente, si condensa inoltre il tempo – nella forma di passato, presente e futuro – tema trasversale nel libro e cruciale per il messaggio complessivo affidato all’opera, che qui trova però sospensione. Si tratta del tempo di un momento, esperito come tempo magico e non storico, dimensione incantata che apre la sezione dedicata allo stupore dell’Alziati di essere “proprio qui e proprio noi, ma anche collegati ai secoli, che tutti ci stanno attorno”[2]. Al passato prossimo l’autrice propone se stessa come novus-novello angelo, forse l’Angelo Smemorato della sezione attigua precedente – che riesce a scordare “ciò che ha il potere di annientarci” – e che rimane impigliata, con figura di trasformazione allegorica, non in una tempesta, ma in un piccolo vento che la trattiene fra i rami. Ciò è l’indizio di una metamorfosi. Una buona quota del messaggio del libro è affidata alle figure della natura la quale, con gli esseri umani, condivide il destino di caducità dettato dallo scorrere cronologico.

Oltre a ciò è inevitabile, dato il contesto e le grida della storia che in altri luoghi del libro emergono, chiedersi come trovi ragione un passo similmente impostato, e quale ne sia il valore, al di là dell’apparente puro e semplice piacere della meditazione idilliaca.

Nonostante Brecht, molto amato dall’autrice, in A coloro che verranno, scriva che in tempi bui sia «quasi un delitto» «discorrere d’alberi» «perché su troppe stragi comporta il silenzio», egli stesso – in anni di esilio e fuga dal nazismo – nei versi di quel periodo, densi di senso della catastrofe, non esaurisce in essa lo spettro di ciò di cui vuol lasciare traccia. Anche l’Alziati scrive della bellezza, “quella che deve poter essere costruita nei rapporti e di quella che esiste, anche quando si parla di violenza esercitata dall’uomo sull’uomo”[3]. Come Brecht, uno degli autori di riferimento, Alziati compie il delitto-miracolo e accoglie tra i versi la gratuità della bellezza, specialmente della natura, e introduce nella poesia una sequenza arborea non interrotta da virgole: un nespolo / un ciliegio un fico, tre alberi, a sommarsi, che l’hanno trattenuta. Il verbo del primo periodo è, non casualmente, al passato (prossimo). Se pensassimo all’Angelus Novus di Benjamin, che la sezione precedente evoca tra le reminiscenze, ricorderemmo che esso è volto al passato e una tempesta impedisce il dispiegarsi delle sue ali. Lì, però, è soprattutto l’Angelo Smemorato di Klee.

In questo passo si tratta, oltre che di immagine, anche di ritmo. I primi due versi ottonari – tra i quali riesce a collocarsi una rima imperfetta sulle parole sdrucciole piccolo : nespolo, e un’assonanza interna tra i participi passati rimAsTA : impigliATA – attaccano cantilenanti con ritmo dattilico uguale: tre dattili in successione per ciascun verso. Il cambiamento ritmico del terzo verso, leggermente più lungo (decasillabo), con lo slittamento d’accenti e con la conclusione della serie con il punto fermo, frangono la regolarità dattilica iniziale, rallentano la sequenza, e pongono risalto sulla bellezza, parola isolata a fine verso. 


Sono rimAsTA in un piccOLO
vento impigliATA, fra un nespOLO
un ciliegio un fico. La bellezza


Il secondo periodo, al tempo presente, è il cuore dell’estasi contemplativa, segnalata da un certo balbettamento allitterativo di sillabe che lega tra loro i versi 4-5 e le parole che li compongono; come se la pienezza del momento fosse difficile da comunicare all’interlocutore-lettore con semplici parole umane.  Avviene così che acquisti rilievo la parola che esprime stupore, impressionante, la più lunga all’interno della frase e dei due versi, tanto più che è seguita dal breve respiro della virgola e dal v. 5, che sembra il più corto – caratterizzato da parole brevi e grammaticali monosillabiche – e che termina tronco con pausa forte del punto fermo.


[…] La bellezza
degli alberi è impressionanTE,
TE lo diCO ora COsì.


Un ulteriore segno del legame tra i primi quattro versi proviene dalle inarcature, che suggeriscono una lievissima soppressione della pausa alla fine dei versi in piccolo / vento, nell’enumerazione, tra un nespolo / un ciliegio, e in La bellezza / degli alberi.

Il terzo periodo, il cui inizio al vs 6, e parte del 7, coincidono con un tessuto fonico di ritorni leggermente più fitto, 

ToRneRò a scioglieRmi, più TaRdi
denTRo il Tempo aRchimedico


utilizza la forma del tempo futuro semplice per comunicare che non ora, nel momento di meraviglia, ma più in là, l’autrice stessa ritornerà a farsi corpo, invece, con il mondo, del mondo, ridiventerà non identificabile, entità confusa nel tempo umano, assumendone in sé i destini. Un’altra metamorfosi, dunque, fortuita e quasi casuale come il rimanere impigliati in qualcosa. Avviene la fusione del corpo della poetessa con gli elementi della natura e del paesaggio. E come nel corso della trattazione, il tempo è parola tematica e multiforme, non semplice accessorio. Due endecasillabi (i versi 7-8) concentrano dense riflessioni filosofiche e memorie letterarie. La rosa, proposta in poliptoto e come rima identica, rappresenta il topos per eccellenza di bellezza e amore a cui si aggiunge il tempo, come divenire indeterminato rispetto alle identità individuali. Qui le figure della ripetizione fanno rimbalzare il senso tra allusione, citazione ed eco di Brecht, Goethe, Celan e – per altri versi – Stein, solo per citarne alcuni. Brecht che, all’evidenza inattesa di una rosa, non sa come dirne («Come schedarla, la piccola rosa»), così come Goethe per il quale «sempre impossibile appare la rosa»[4], o La Rosa di Nessuno di Celan.

L’ultimo verso, ottonario, si ricollega a quanto già detto, ossia alla “bellezza che si manifesta anche nel movimento delle cose del mondo, le quali debbono poter essere trasformate in essa”[5]; con la quale, facendosene carico, si può forse salvare il mondo, come potrebbe suggerire implicitamente l’autrice nella poesia Viandanti (p. 65):

Vedi, ti domandavo, che questa vista
a me pare che tremi, chè fragile
la tengo fra le mani, e piango; dimmi
volge a noi forse, bellezza, una preghiera? 

Il finale diventare una rosa riconduce alle riflessioni generali e di portata più gnomica sul tempo, al divenire indeterminato rispetto all’identità individuale, che appartiene alla sfera del mutamento come esigenza che le figure della bellezza siano in connessione con il dovere della trasformazione e del cambiamento, oltre la dimensione della visione meravigliosa. Volendo infine annotare ulteriori considerazioni, si accolga una suggestione. Il breve quadro naturale descritto coinvolge il senso della vista in un fermo immagine, dove l’udito trova ricezione, eventualmente, nel fruscio della brezza, quasi un gracchiare di vecchio nastro audiovisivo nell’immobilità: bellezza antica che è qui da sempre e per sempre, rumore bianco come risposta affascinante all’epigrafe – posta immediatamente prima della poesia ad inizio sezione – e che contiene la coralità di tutte le voci evocate nel libro.






[1] Incontro Testo, “Incontrotesto – Incontro con Cristina Alziati”, cit., p. 12.
[2] Ibidem.
[3] “Chiodo fisso”, Rai Radio 3, intervista a Cristina Alziati, marzo 2012
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-919321d7-2d99-4db9-9373-abe3d1da5612.html
[4]  Ibidem.
[5] MONICA D’ONOFRIO, “Radio 3 Suite”, intervista a Cristina Alziati. http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-1d911a45-44d2-4fe3-a4dc-d36edf3ce755.html

Per visualizzare tutte le sette puntate di
"7x7 con Cristina Alziati"
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