mercoledì 29 marzo 2017

Più che la fame poté la fama: brama di fama e assenza di fame nel discorso letterario odierno

Libri brevi che mi piacerebbe scrivere o trovare #13

Cesare Ripa, iconologia della fama chiara
Chiediamocelo chiaramente: chi tra quelli che hanno avvicinato la scrittura di libri, siano questi di testi saggistica, prosa o poesia, non ha accarezzato almeno per qualche istante l'idea che qualcosa di queste opere rimanesse oltre il dissolversi degli amminoacidi che costituiscono le membra? Quella della sopravvivenza dell'opera dopo la morte è una questione antica, tuttavia permane sotto nuove spoglie in quest'epoca contrassegnata dall'effimero di Snapchat e degli altri social media, con nuove pieghe tutte da capire. Qualche inguaribile pura/o direbbe che lei/lui certo che no, che lei/lui manco ci pensa, che scrive solo per il presente e che non bada ai posteri, alla fama, al venir ricordato, che per lei/lui la scrittura è prima di tutto il tentativo di creare i presupposti per un confronto che risponda a una precisa necessità e a una fame di conoscenza che sta nel limbo collocato nella terra di nessuno, tra il distacco di un'opera dal suo autore e la circolazione e fruizione di questa (l'editoria allora non sarà mai sullo sfondo, ma sempre centrale). Facciamo che per praticità e soprattutto per profonda simpatia non le/gli crediamo (il perché di questa profonda simpatia emergerà nella seconda parte di questa riflessione). Facciamo anche che per questa volta l'andare a promuoversi da Fabio Fazio non c'entra (come se in televisione si potessero usare soltanto i format già pronti e bolliti senza pensare a sperimentarne di nuovi, in fondo è un mezzo così interessante e ancora inesplorato). L'invidia - pardon, il "rosicare" per usare un gergo più gradito alla capitale - qui non c'entra. Può c'entrare semmai l'agonismo, e soprattutto la vicenda della poesia è andata di pari passo col concetto di agone (e si pensi allora ai vari premi). Qui però sto provando a fare un discorso scisso tra assenza di fame e disperata, annaspante ricerca di fama e si tratta purtroppo di un discorso sbilanciato tutto a favore di quest'ultima.

Il punto è circa questo: più che la fame poté la fama e le sue brame. E come stanno le cose allora? Non so esattamente come stiano, perché ci sono sempre diversi casi, però proviamo con un esempio e prendiamo uno scrittore tra tanti possibili: Goffredo Parise. Parise è morto trent'anni fa e i suoi libri, tutto sommato, si trovano ancora. Ha avuto una discreta fortuna in vita, con alti e bassi come tutti, e la sua opera rimane abbastanza presente a trent'anni dalla morte. Ma cosa vuol dire "abbastanza presente"? Ogni tanto mi pongo domande come le seguenti e non so se sono domande utili: quanti in questa settimana dell'anno 2017 avranno letto in Italia una sua opera? Qualche decina o centinaia di persone? Migliaia addirittura? Quale capacità ha l'opera di Parise di provocare e sostenere una riflessione o una polemica utile alla contemporaneità, quantomeno a quella dell'Italia (tralasciamo qui gli aspetti legati alla traduzione e alla diffusione di un'opera scritta in una data lingua fuori dai territori in cui quella lingua è letta e capita). Quale la capacità di incidere? So bene che il destino dei libri è incalcolabile e so che mi si può obiettare che tante opere hanno i tempi lunghi della permanenza nei cataloghi editoriali o, per usare un'altra parola, nei canoni e nelle traduzioni (se opere di lingua). So che tante opere sono un tesoro per i pochi che le scoprono e questa cosa va benissimo. I classici poi non nascono a tavolino, per fortuna, anche se certe novità editoriali recenti come Le otto montagne di Paolo Cognetti sono state salutate sin dall'uscita come "classici" (a prescidendere dal valore dell'opera di Cognetti, questa fuffa di marketing va denunciata a tutti i livelli della filiera editoriale). Tutto questo per dire che, foscolianamente, pochissimo resta e ogni secolo produce pochissime opere durature. Una forza operosa le affatica di moto in moto e le opere e gli sforzi dei nostri giorni sono così digeriti e espulsi attraverso retto e ano dalla peristalsi del consumo. Ad alimentare e a contribuire alla formazione di nuovi amminoacidi di pensiero e azione resta ben poco, anche se è quel poco che diventa di volta in volta importante. Ora come ora non sappiamo se il caso di Parise, preso qui a mero esempio, rientrerà in queste poche opere di cui si parlerà tra settant'anni e più oppure se sparirà, ma serviva a ribadire che pochissimo resta. L'effimero ha varie gradazioni e poche sfumature in quanto è esso stesso ciò che sfuma.

E allora? Perché questi pensieri? Mi viene da dire che tutto il pensiero (e arrière-pensée) che riguarda la fama e i tentativi di indurla, magari con i moderni gratuiti strumenti di promozione, dovrebbe soccombere sotto il peso e la necessità di qualcosa di più concreto e immediato: la fame. Intendo fame di confronto e fame di leggere per rielaborare e interrogare, fame di nuovi dubbi e polemiche, di nuovi dossier che riguardino l'umano, il post-umano e l'extra-umano. La brama di fama, che oggi trova humus puzzolente nelle bacheche virtuali, è davvero il grande nulla con cui quotidianamente facciamo i conti ed è quello che ci sta divorando.

Sgomberato il campo da questi ostacoli e strutture d'impiccio - se mai sarà possibile lo sgombero - potrebbe diventare più facile parlare più o meno serenamente di temi plausibili e reali come la scarsità di risorse quali tempo e attenzione, la promozione (che non dovrebbe solo coincidere con l'autopromozione o col suddetto Fazio), i soldi, le vendite di un libro e la notorietà, che comunque resta necessariamente legata a una parentesi temporale circoscritta nella stragrande maggioranza dei casi. E potrebbe diventare più facile parlare dei temi e degli scopi che ci interessano quando sviluppiamo un progetto legato ancora alla forma del libro. Se le cose stanno circa così, perché non sfruttare le occasioni che la scrittura, la lettura e l'editoria offrono per riportarne il discorso su quello che ci interessa veramente fare, leggere, approfondire e possibilmente capire? Prima di tutto è un discorso di economia e igiene degli sforzi che profondiamo nei nostri giorni. Quanta energia viene quotidianamente profusa e sprecata nel tentativo di veicolare un qualche germe di fama o popolarità? Questo desiderio è trasversale e prende sia i giovani sia i più vecchi, ormai preoccupati (ossessionati?) dall'idea di poter in qualche modo gestire e veicolare la loro eredità letteraria. Si dimenticano però che l'eredità, se c'è qualcosa da ereditare, non apparterrà al morto ma da lui proverrà soltanto
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Riassumendo: le opere che non sono nate da una qualche necessità e da una qualche fame hanno avuto le gambe corte nei sentieri della chiara fama. Tutto il resto è noia (non ho detto gioia, ma noia).

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