domenica 29 marzo 2015

da "Imitazioni" di Attilio Bertolucci (una traduzione da Edward Thomas)

Una poesia da #48
Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #25

Imitazioni è un libro di traduzioni di Attilio Bertolucci che Scheiwiller pubblicò nel 1994 (pp. 126, fuori catalogo e non più reperibile; i testi sono confluiti nel Meridiano a cura di Paolo Lagazzi e Gabriella Palli Baroni). Vi potete trovare versioni, imitazioni appunto, da molti poeti francesi, inglesi o americani fra i quali Shakespeare, Wordsworth, Baudelaire, Hardy, Landor, Pound, Kipling, Eliot, MacNeice, Milton, Gascoyne, Frenaud e anche Edward Thomas. Il testo che ho scelto appartiene proprio a questo poeta "tardivo" che iniziò a scrivere poesia nel 1914 incoraggiato e incalzato dall'amico Robert Frost e che nell'aprile del 1917 morì in azione durante la Battaglia di Arras. Pochi altri traduttori e scrittori italiani si sono soffermati su questo autore che ebbe importanza nelle vicende poetiche di W.H. Auden, Dylan Thomas, Philip Larkin e Ted Hughes. Se volete, nella poesia proposta di seguito il pretesto è quel topos di rêverie poetica  sopra il toponimo, Adlestrop in questo caso, ma anche, a mio avviso, la sosta inattesa in una stazione durante un tragitto, una stazione che fra l'altro da qualche decennio non esiste più. Notavo come  la versione di Bertolucci "Adlestrop:/ un nome" echeggi la Valmorbia di Montale e inoltre come s'agganci il quinto mottetto a certi cenni di questa poesia di Thomas.



ADLESTROP


Sì, mi ricordo di Adlestrop, del nome,
Perché in un caldo pomeriggio il treno
Diretto vi fece una sosta imprevista.
S'era agli ultimi giorni di un bel giugno.

Un fischio, poi qualcuno si schiarì
La gola. Ma nessuno se ne andò
Dalla nuda piattaforma, nessuno
Salì e fu solo Adlestrop: un nome,

E salici e tanta erba profonda
E la regina dei prati e i covoni
di fieno così fermi e solitari
Come le nubi alte nel cielo estivo.

Per un istante cantò vicinissimo
Un merlo e gli risposero indistinti
Più e più lontano poi tutti gli uccelli
Delle terre di Oxford e di Gloster.


(da Poesie, 1917 - Traduzione di Attilio Bertolucci)


ADLESTROP


Yes. I remember Adlestrop
The name, because one afternoon
Of heat, the express-train drew up there
Unwontedly. It was late June.

The steam hissed. Someone cleared his throat.
No one left and no one came
On the bare platform. What I saw
Was Adlestrop—only the name

And willows, willow-herb, and grass,
And meadowsweet, and haycocks dry,
No whit less still and lonely fair
Than the high cloudlets in the sky.

And for that minute a blackbird sang
Close by, and round him, mistier,
Farther and farther, all the birds
Of Oxfordshire and Gloucestershire.

venerdì 27 marzo 2015

"Appénna ammattìta" di Caterina Saviane nella collana poeti.com di nottetempo

Nella collana in ebook poeti.com diretta da Maria Pace Ottieri e Andrea Amerio esce Appénna ammattìta di Caterina Saviane (in edizione cartacea a tiratura limitata dal 13 febbraio 2015 pp. 64, euro 7.00; in ebook euro 3,99). L'autrice, figlia del giornalista "desnudante" Sergio, morì di overdose a trentun'anni nel 1991. Altro suo libro fu Ore perse. Vivere a sedici anni,  edito nel 1978 da Feltrinelli nella collana Franchi Narratori (su tale collana vorrei rimandare a questo interessante documento messo a disposizione nel sito da Oblique Studio). Il libro di cui intendo dar notizia era uscito negli anni Ottanta in un'edizione privata. A metà dei quel decennio, arrivò per Caterina l'attenzione di Andrea Zanzotto, che avvertì in questi versi un "movimento ciclonico". (Sia detto per inciso che, al di là del cognome portato da Caterina, sicuramente in vista grazie alla notorietà del padre, era per Zanzotto pratica quotidiana, gesto e postura gratuita, prestare ascolto a quei giovani autori che si rivolgevano a lui per un parere o magari con una telefonata, un'adesione quotidiana a un dialogo, talvolta anche scherzoso e sempre vivace, sulla scrittura e il presente, nel quale Zanzotto attivava il proprio radar e le proprie antenne. Non mi pare sia caratteristica riscontrabile in tanti altri scrittori più o meno affermati di oggi.) Della nota introduttiva di Maria Pace Ottieri ho trovato utile questo stralcio, dove si riporta sostanzialmente un altro commento critico:

«La sua è una poesia antilirica, razionale, in cui logica e consequenzialità convivono con un forte senso della musicalità e del ritmo», scrive Luisa Vecchi a cui si deve l’edizione privata delle poesie. «Di qui l’uso ripetuto della lineetta tra parole e sillabe, per scandire suoni e significati. Il metro tradizionale a cui Caterina rende omaggio nelle ottave dei poemetti (la misura lunga è congeniale alla sua tempra di narratrice), nelle stanze delle canzoni sghembe è compresso e dilatato con spavalda irriverenza, le parole sono scavate, torturate, frammentate, si spezzano continuamente in sillabe e si ricompongono, mentre gli accenti battono ritmi incalzanti. Poi si aprono improvvise distensioni (“Oh, kamikaze Farfalle | scappavate fatali | contro ceco clan clan | clan clan | clan destine”), pause temporanee al concitato, incessante colloquio con la poesia che percorre tutta la raccolta».

Il modo migliore per tornare a frequentare la poesia di Caterina Saviane è forse darne un assaggio, rimettere in giro qualche suo verso, per il lettore di poesia o anche per i molti lettori del fortunato romanzo feltrinelliano, che magari ricordano il nome di Caterina Saviane.


[Tale avventura – una paura spinge]


1

Tale avventura – una paura spinge
sulle tempie gravide è il sudore
antico – d’un antico odio:
anima mia non t’incanaglire nella
spiegazione di questa terra fredda:
ormai
anima mia, discola, tenera, paurosa!

2

Atti pensati – a caldo
rivelati all’alba umida del – nulla
a cui attendevo seduta (o in piedi)
davanti a un foglio (piccola penna)
attendevo inutilmente il sole – promessa
per certe idee di ieri, altrimenti oggi
pensieri.

3

Non basta la paura – ma
davanti all’eventualità d’un gesto
giammai sarei un eroe – né il resto.
Quale eroismo nella viltà di un verso
nell’enfasi di un dio-parole
come divinità in esilio – salvarle
per poi restituirle all’eventualità
di un gesto.

4

Se non capìta – perché verso
guardarmi? Vostro unico istinto
in questo mondo pronto all’attacco
– goliardo, sempre in agguato –
accanito contro di me – verso
il mio incosciente sguardo diverso.

5

Talento immeritato – il nostro
anche nascere ricco – fin dalla culla
ricco dell’omertà
o del valore stesso di domani.

6

Il nostro bacio supera l’incontinenza
del tuo sonno – la casualità del mio
sporadico e forse peggio:
perciò nell’antico sogno ci addentriamo
per quanto esso sia novo – come lo stile
come il presente tempo.

lunedì 23 marzo 2015

Tradurre in italiano Vasilij Grossman, Anna Politkovskaja, Pavel Florenskij e altri. Intervista con Claudia Zonghetti

Librobreve intervista #53

Claudia Zonghetti
Come accennato nel titolo, le più recenti traduzioni da Vasilij Grossman, Anna Politkovskaja e Pavel Florenskij sono opera di Claudia Zonghetti. Il suo nome è legato anche alle collaborazioni con Julia Dobrovolskaja, nella stesura del Grande dizionario Russo-Italiano / Italiano-Russo (Hoepli) ma anche in libri a quattro mani orientati alla didattica come Le difficoltà del russo. Verbo, aggettivo, sostantivo (Zanichelli). Con grande piacere ospito questa intervista che prende avvio dal più recente lavoro portato a termine per Adelphi. Bello notare come questa storia di traduzioni parta da "un'ora buca" trascorsa al liceo: ben vengano allora le ore buche! Parlando di traduttori dal russo, ad un certo punto Claudia Zonghetti afferma "Nell'ultimo mezzo secolo molti - molte - hanno continuato l'opera dei pionieri". Quell'inciso in effetti mi ha fatto pensare che passato il tempo degli Alfredo Polledro, Eridano Bazzarelli, Ettore Lo Gatto o anche dei Clemente Rebora e Leone Ginzburg, i nomi che più si leggono tra gli slavisti e traduttori dal russo, negli ultimi decenni, sono appunto nomi di donne. Mi pare sia un aspetto quantomeno curioso, interessante. Buona lettura.

LB: Partirei dalla fine, ovvero da A proposito di Čechov di Ivan Bunin, ultimo libro da lei tradotto. Potrebbe raccontarcelo, tralasciando la veste di traduttrice (se possibile)?
R: È possibilissimo! Prima di essere traduttrice sono una lettrice vorace (anche se non quanto vorrei). E dunque: Ivan Bunin è anziano, malato e costretto a letto. Un giorno riceve dall'Unione sovietica i volumi freschi di stampa dell'epistolario di Čechov, si tuffa entusiasta nella lettura e scopre con gioia infinita quanto il grande scrittore tenesse alla sua amicizia. Inevitabile è, dunque, che si conceda ai ricordi di un legame fra esseri umani straordinari, prima che fra letterati di rango. Un legame che era stato breve, ma intenso, sollecito e schietto. Bunin non riesce a portare a termine il volume che ha in mente e che detta man mano alla moglie, ma le pagine che lascia sono straordinarie proprio nella loro imperfezione, nel loro calore vivo e spigoloso, nella loro densità di affetti e passioni. E difatti proprio a una passione mai sospettata - l'amore rimasto speranza fra Čechov e Lidja Avilova - sono consacrate pagine portentose.


Anna Politkovskaja
LB: Il suo nome è naturalmente legato alle versioni italiane di uno dei più importanti nonché imprescindibili scrittori del secolo scorso, Vasilij Grossman, anche se mi sentirei a disagio a non menzionare le versioni da Anna Politkovskaja o Pavel Florenskij. C'è davvero molto nel suo curriculum, anche solo a citare questi tre nomi. Cosa le piacerebbe provare, ora? E la poesia? 

R: Mi piacerebbe - adorerei - mettere piede nella letteratura per bambini e ragazzi. L'Unione sovietica prima e la Russia poi hanno una tradizione notevolissima e feconda in questo ambito. La poesia no. Mai. Ho troppo rispetto per la parola poetica per pensare di lordarla con i miei incauti balbettii. Non transigo. Ci ho provato una sola volta, cedendo a insistenze alle quali mi pesava rispondere sbattendo la porta. È stato un trauma, ma nessuno si è accorto che l'ho fatto e ne sono quanto mai felice.
Osare per osare, affronterei la satira. Un campo con mine altrettanto devastanti.

LB: Riesce a seguire con una certa continuità l'attualità della letteratura russa? In che modi?
R: La rete, ormai, è di grandissimo, insostituibile aiuto. Seguo blog, riviste, forum… C'è davvero l'imbarazzo della scelta. E la possibilità di scaricare i libri senza dover attendere "i pacchi della speranza" rende tutto molto (ma molto!) più semplice.


LB: Una domanda che è un inciso personale: una convinzione che sin dalle scuole superiori mi è stata quasi inculcata è che la letteratura russa "non delude mai". Naturalmente l'accento era più sull'Ottocento. Ecco, non so perché ma ne ho fatto quasi un dogma. Ora esagero, però forse è vero che la letteratura russa "delude poco". Forse con questo inciso le offro lo spunto per sfatare certi luoghi comuni o altri dogmi sulla letteratura russa...
R: Come in ogni altro paese del mondo, anche in Russia gli scriventi sono infiniti e gli scrittori veri mosche bianche (o dovrei dire "corvi bianchi", dato il primigenio errore traduttivo dell'analogo russo riferito a Boris El'tsin?). Per il resto, anche la letteratura russa segue e si accoda a quanto accade nel resto del mondo. Ci sono gli scrittori "mainstream" che seguono - anche dignitosamente - le mode e le tendenze universali (vampiri e sfumature di colori vari, per intendersi), ci sono gli esteti raffinati, ci sono i realisti, i post-post-postmodernisti… Ci sono nomi degnissimi, OVVIO (lasci le maiuscole, la prego!). Ma non c'è un nuovo Pasternak. Quanto a proporli qui da noi… Lo stereotipo "russo=mattone" è duro a morire. E in un periodo di profonda difficoltà del libro, gli editori disposti a rischiare per proporre autori russi sono davvero pochi.

LB: C'è un'opera che vorrebbe portare in italiano e che sinora nessun editore ha voluto considerare, anche se da lei suggerito?
R: C'è. Ce ne sono diverse. Ma - se espressi - i desideri non si avverano. E io ci terrei a vederne qualcuno farsi carta, prima di appendere la tastiera al chiodo. Ad ogni buon conto, tralasciando i nomi meno noti che vorrei provare a far assaggiare ai lettori italiani, mi limiterò a confessare (per l'ennesima volta) che dopo avere tradotto la "Cronaca" della vita di Michail Bulgakov (di Marietta Čudakova, per Odoya) la voglia di rimpastare Il Maestro e Margherita non ha più limiti.


Tradotto da Vera Dridso
LB: Le andrebbe di comporre una piccola galleria dei traduttori dal russo, citarne qualcuno e/o tratteggiare qualche aspetto saliente?

R: Questa domanda avrebbe bisogno di una ventina di pagine per sperare in una risposta che minimamente soddisfi il criterio di affidabilità. Per mia e sua fortuna una carissima amica e docente - Giulia Baselica - ha scritto sull'argomento, e chi volesse sapere qualcosa di più sulle traduzioni di autori russi in italiano (attenzione: non "dal russo in italiano", perché non sempre era così) potrà leggere un suo articolo pubblicato sulla rivista "Tradurre". Lo trovate qui.
Nell'ultimo mezzo secolo molti - molte - hanno continuato l'opera dei pionieri: Vera Dridso, Gigliola Venturi, Chiara Coisson per citare le più prolifiche... E Serena Vitale, ovvio, nelle sue preziose incursioni traduttive.
Quanto all'ultima e penultima generazione, gli anni venturi diranno chi di noi resisterà alla prova del tempo.

LB: Una rapida curiosità: quanto ha richiesto la traduzione di Vita e destino di Grossman?
R: Nove mesi. Una gestazione. Con lo stesso travaglio finale. Ma con una serie infinita di gioie, dal primo vagito in poi.

Gogol'
LB: Finirei con l'inizio, ovvero le vorrei chiedere come è arrivata a occuparsi di traduzione. In sostanza, vorrei sapere qualcosa sulla sua formazione di traduttrice. Grazie della sua disponibilità.

R: Sono uscita dal Cappotto di Gogol', come si vuole per buona parte degli scrittori russi. Ero ancora al liceo quando, in un'ora buca, un professore di greco del classico - io frequentavo il linguistico, al "Raffaello" di Urbino - si sedette e cominciò a leggere. Al "colore emorroidale" di Akakij Akakievič ero già ipnotizzata. Cominciai a leggere, a rileggere, a cercare... E decisi che - così come già facevo con l'inglese e il francese (e iniziavo a fare con il tedesco) - volevo leggerle in originale, quelle pagine che sentivo meravigliose, ma che nella lingua in cui erano nate rischiavano di esserlo persino di più.
Partii dunque per Venezia, dove mi sono poi laureata con Vittorio Strada, ma dove soprattutto ho fatto l'incontro che ha cambiato la mia vita. Quello con Julia Dobrovolskaja, grandissima traduttrice verso il russo dei massimi scrittori italiani, che per mia fortuna ha avuto una seconda vita anche nel senso inverso, insegnando cioè a noi italiani a tradurre gli scrittori russi di ogni generazione. È stato "a bottega" da lei che ho mosso i primi passi. Timidissimi, fustigatissimi. Ma se qualcosa riesco a fare, ora, lo devo sicuramente alla sua inesorabile pazienza e al suo esasperante - ma ubertoso - rigore.

venerdì 20 marzo 2015

"La voce come medium. Storia culturale del ventriloquo" di Steven Connor

Ripescaggi #38

(Non ricordo più dove uscì questo testo del 2007. Credo - ma non ne sono certo - sul sito della rivista "daemon").

Il ventriloquo – è una cosa che abbiamo appreso da bambini – produce una voce dissociata, la cui fonte rimane invisibile all’ascoltatore. E questo vale anche per i mezzi di comunicazione che abbiamo chiamato “di massa” in passato e che ci ostiniamo a definire tali anche nell’epoca attuale, quando questa qualifica comincia a star loro stretta. E vale davvero per tutti i mezzi di comunicazione che segnano la modernità: tv, radio, cinema, telefono e web. Da questa semplice constatazione parte il ragionamento portante di questo articolatissimo studio di Steven Connor (La voce come medium. Storia culturale del ventriloquo, Luca Sossella Editore, 2007, pp. 488, € 20, libro che pare non più disponibile per l'acquisto), docente di Modern Literature and Theory al Birkbeck College di Londra e autore di fondamentali studi su Dickens, Joyce e Beckett. Un saggio – si è detto – articolatissimo e amplissimo in virtù del fatto che Connor fa partire la propria storia della voce interna e dissociata dalle origini greche e romane (oracolari), passando per i posseduti, i mistici e le streghe fino ad approdare quindi ai nuovi mezzi di comunicazione.

La possibilità, la capacità di parlare con una voce dissociata ha attraversato tutta la storia dell’umanità e trova oggi nuovi lidi. In questa considerazione sta la vera attualità di questo libro e l’importanza di poter disporre della sua traduzione in italiano. La voce che abita l’animo umano è la protagonista indiscussa di queste pagine che diventano insospettabilmente utili a molti (studiosi di letteratura, di nuovi media, poeti, registi, attori, giornalisti ecc.) per capire i meccanismi che spiegano il funzionamento della voce interna, per provare a dire un perché al fascino che continua ad esercitare.

Il ventriloquo non è quindi (non lo è mai stato, ma non è scontato che questo si sappia) quel fenomeno da circo, magari con un pupazzo in mano, che abbiamo conosciuto da bambini. In effetti, la parola stessa, con quell’esplicito rimando al ventre, si propone alla nostra riflessione in tutto il suo viscerale insediarsi nella storia dell’uomo e della sua corporalità.

martedì 17 marzo 2015

Francesca Genti a Treviso a Ca' dei ricchi per "TRAversi"












Giovedì 19 marzo 2015 alle ore 21
Ca' dei Ricchi, via Barberia 25, Treviso
Rassegna di poesia "TRAversi" - a cura di Marco Scarpa
con Francesca Genti


Riprende la rassegna di poesia "TRAversi" a cura di Marco Scarpa con un miniciclo di quattro incontri che si dipaneranno da qui a maggio e che avremo modo di segnalare nelle prossime settimane. Gli incontri si terranno a Ca’ dei Ricchi, in vicolo Barberia 25,  in pieno centro a Treviso, a due passi dalla centrale Piazza dei Signori. Ad esclusione del primo incontro con Francesca Genti (foto a lato) che cadrà di giovedì, gli altri tre saranno di venerdì, tutti con inizio alle 21.00. La formula prevede la prima parte della serata con una presentazione e reading del poeta invitato e la seconda con una presentazione di un poeta del Novecento a cura del poeta invitato. Un’altra novità di questa nuova serie è la collaborazione con una scuola che porterà di volta in volta alcuni studenti a rapportarsi con il poeta, per stimolare ulteriormente il confronto. Altre informazioni su quanto avviene a Ca’ dei Ricchi si trovano sul sito www.trevisoricercaarte.org.


LE MASSICCIATE DI VIA FERRANTE APORTI


Ascolto il canto della città consustanziato
di clacson e cardellini
-movimento- .


Nel cielo blu Yves Klein cʼè un reggimento
di giganti che giocano alle nuvole,
coriandoli cullati dentro il vento:
plastilina metafisica che forma
tigri, cavalli, astri in movimento.
 

Tutto quello che da testimone sento
mentre inabissa il viola della sera
è l’avanguardia dello struggimento
è l’invasione della primavera.



Da L’arancione mi ha salvato dalla malinconia (Sartoria Utopia, 2014)


Francesca Genti è nata a Torino e vive a Milano. Ha pubblicato le raccolte di poesia Bimba Urbana (Mazzoli, Premio Delfini, 2001), Il vero amore non ha le nocciole (Meridiano Zero, 2004), Poesie d’amore per ragazze kamikaze (Purple Press, 2009), L’arancione mi ha salvato dalla malinconia (Sartoria Utopia, 2014), il libro di racconti Il cuore delle stelle (Coniglio Editore, 2007) e il romanzo La Febbre (Castelvecchi, 2011).

domenica 15 marzo 2015

Ungaretti e le sue lettere dal fronte a Mario Puccini

Leggere una grande guerra #13

"Leggere una grande guerra" intende essere il breve spazio in cui segnalo dei libri sulla Prima guerra mondiale. Il quinquennio 2014-18 coincide con un lungo periodo di celebrazioni, commemorazioni ed eventi a livello internazionale. Segnalare semplicemente dei titoli di libri, brevi o meno brevi, passati o attuali, reperibili o non reperibili, italiani o stranieri, può essere un buon antidoto contro le fanfare e i tromboni che stanno pericolosamente giungendo un po' da ogni parte. Le segnalazioni saranno sintetiche, poco più di una scheda bibliografica. (In coordinamento con World War I Bridges).

Il 1917 è l'anno orribile della guerra, anche per Giuseppe Ungaretti sul fronte isontino. Lo si capisce leggendo queste 26 lettere raccolte e pubblicate da Archinto con il titolo Lettere dal fronte a Mario Puccini (pp. 80, euro 16, a cura di da Francesco De Nicola). Ferito, inabile, nevrastenico, impaziente di spostarsi da una situazione di presidio a un battaglione movimentato in azione, con i compagni di sempre (oppure di essere spedito in Terra Santa con il contingente italiano partito in quegli anni, per sfruttare le proprie conoscenze linguistiche). Il ritratto che ricaviamo è davvero quello di un uomo di pena che cerca in Mario Puccini un supporto ma anche un aiuto fraterno per essere spostato (e come s'arrabbia!). Puccini è tenente presso il Comando supremo della III armata dislocato non molto lontano da Ungaretti. I due, in realtà distanziati di un solo anno (del 1887 Puccini, del 1888 Ungaretti), si sono conosciuti prima delle ostilità, quando Ungaretti aveva provato a piazzare nel catalogo delle edizioni Puccini, fondate dal padre di Mario ad Ancona, il Moscardino dell'amico Enrico Pea, conosciuto durante il lungo periodo egiziano. L'esito commerciale dell'operazione non fu dei più memorabili e la sfortunata pubblicazione deve aver avuto qualche ricaduta nei rapporti. Abbandonati quei dissapori, Ungaretti si rivolge in modo fraterno all'autore de Il soldato Cola e di quello che possiamo annoverare fra i primissimi reportage a caldo della ritirata di Caporetto (Caporetto: note sulla ritirata di un fante della III Armata, Editrice Goriziana, 1987). Abbandona il voi e passa presto al tu. Apre il suo cuore, riversa nelle lettere sensazioni che poi ritroveremo nella sua poesia, come quella di essere macerato dalla malinconia.

Nelle lettere, quasi tutte brevi, c'è posto per Il porto sepolto e la sua accoglienza critica, per D'Annunzio che in fondo impartisce già con le sue "pose plastiche in ginocchio davanti ai feretri" pillole di regia e scenografia che saranno mutuate e portate all'esasperazione dal regime mussoliniano, per il desiderio di spostarsi di cui si è già scritto, per il progressivo peggioramento delle condizioni psicofisiche fino ad arrivare all'ottobre del 1917 e alla ritirata. Sono lettere che oggi testimoniano del rapporto esistente tra due letterati che hanno avuto diverse fortune nel secolo scorso. Puccini non c'è, è assente, non si deduce quasi da nessuna missiva, eppure la sua figura è sullo sfondo, pone qualche domanda. Le stesse domande che ci facciamo oggi: che fine ha fatto Mario Puccini? Dove sono volate vie le sue pagine? Tempo fa, parlando de Il soldato Cola, ho accennato alle molte lacune attorno all'opera di Mario Puccini. L'augurio è quello di un qualche rimedio: anche solo sfogliando l'inventario del Fondo Mario Puccini presso il Gabinetto G.P. Vieusseux è possibile avere una chiara idea di come questo scrittore marchigiano fosse al centro di una fitta rete di rapporti nazionali e internazionali che sarebbe sciocco continuare a ignorare.

mercoledì 11 marzo 2015

Notturno americano, "Il primo dio" Emanuel Carnevali nella lettura di Emidio Clementi

Musicali pretesti #4

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.


Era il 1978 quando Adelphi pubblicò Il primo dio (pp. 434, a cura di Maria Pia Carnevali, euro 30) con un caravaggesco Chop Suey di Edward Hopper in copertina, inondato di luce laterale. Il volume, ancora in commercio, contiene poesie scelte, racconti e scritti critici del ragazzo partito da Genova nel 1914 per fare il millemestieri negli Stati Uniti. Era il 1995 quando il brano d'apertura dell'album Lungo i bordi dei Massimo Volume contribuiva a riportare in orbita il nome di Carnevali. Si intitolava proprio come il libro a lato. Di Carnevali, di quel brano e anche delle non poche pubblicazioni che gli ha riservato l'editore pistoiese Via del Vento si è già parlato in un post passato (si possono ricordare pure i Racconti di un uomo che ha fretta e altri scritti pubblicati da Fazi ma non più disponibili). A breve, per Santeria, uscirà il disco che raccoglie i brani del reading-tributo offerto a Carnevali da Emidio Clementi, Corrado Nuccini ed Emanuele Reverberi, un progetto illustrato dalle tavole di Gianluca Costantini. Si intitola Notturno americano e molti di voi magari avranno avuto modo di ascoltarlo dal vivo in una delle molte date che si sono succedute negli ultimi mesi. Il disco, composto da 8 brani, è un ascolto che apre diverse porte che danno su una stessa stanza: l'America di Carnevali, i lavori, la pazzia di questo poeta sul quale mi piace tornare anche quelle volte che sento troppa aria professorale/professionale nella poesia che si propone in giro, un poeta che intraprese più strade di scrittura, anche quella delle lettere a Benedetto Croce, a Giovanni Papini, a Carlo Linati (grazie a Liber Liber queste lettere sono disponibili qui). Mi sarebbe piaciuto congedarmi da questa nota con l'ascolto di "Chicago" o di "Carnevali a Milwaukee", il brano che chiude il disco, ma questi non sono ancora disponibili su YouTube, per cui lascio "I camerieri", la traccia numero 5, un pezzo giusto per ricordare il "morto di fame nelle cucine d'America sfinito dalla stanchezza nelle sale da pranzo d'America".



Le prossime date di Notturno americano (per gli orari, i link dei locali e per tener monitorato tutto con maggior precisione rinvio qui):


13/03/2015 - LA SPEZIA - Btomic - Via Firenze 27
14/03/2015 - REGGIO EMILIA - Dinamo - Viale Monte San Michele 4
27/03/2015 - PARIGI - Ciao Gnari - 333 Rue Des Pyrenees
28/03/2015 - BRUXELLES - Piola Libri - Rue Franklin 66/68
01/04/2015 - BOLOGNA - Locomotiv - Via Serlio 25/2
10/04/2015 - MACERATA - Teatro Don Bosco - Viale Don Bosco 55
11/04/2015 - ANCONA - Silos - Via Leopardi 9
12/04/2015 - PEGOGNAGA (MN) - Casbah - Via Roma 20
22/04/2015 - TRAVEDONA MONATE (VA)  - Cineteatro Santamanzio - Via S. Caterina
29/04/2015 - MILANO - 75 Beat - Via Privata Tirso 3
02/05/2015 - GRUGLIASCO (TO) - Casseta Popular - Via Tripoli 56
03/05/2015 - CARPI (MO) - Mattatoio Culture Club - Via Pio 4
08/05/2015 - PESCARA - Milonga Vintage - Via Ravenna 69
09/05/2015 - RIMINI - Primo Piano - Via Garibaldi 20
15/05/2015 - BENEVENTO - Morgana - Via Umberto I 8
16/05/2015 - NAPOLI - Cellar Theory - Vico Acitillo 58
29/05/2015 - SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA (TE) - Dejavu - Via Vittorio Veneto 38/40

martedì 10 marzo 2015

Come fa tendenza essere antiscienza


Libri brevi che mi piacerebbe scrivere o trovare #5

In questo spazio così titolato provo, di tanto in tanto, a fermare pensieri che mi vengono spesso su libretti che mi piacerebbe scrivere se avessi capacità, tempo, spazi o persino, ancora più presuntuosamente, un committente. Oppure, meglio ancora, librini che vorrei trovare già scritti brillantemente da altri. Libri piccoli, che provino ad affrontare temi o autori che già hanno una bibliografia, ma con la voglia di provare a dire cose nuove, magari correndo qualche rischio. Non occorre scrivere tanto, pensate a certi articoli filosofici brevissimi, a come hanno cambiato tutto. Scrivendone così brevemente qui, mi faccio passare l'idea di intraprendere tortuosi percorsi inconcludenti.

Propaganda elettorale
Ci sono genitori che si oppongono categoricamente, a parole, ai vaccini per i propri figli ma che poi li vaccinano "perché non si sa mai", c'è chi parla di OGM con ferocia pari al vacillare che dimostra nella conoscenza del tema (e l'unico nome di multinazionale che sa fare è Monsanto), poi non manca chi si oppone alla ricerca sulle staminali (di questo si è già raccontato qualcosa qui) o chi si avventura in inquietanti tentativi di "ritorno alla natura" ("ritornare alla natura" in fondo è stata la copy strategy del Mulino Bianco per tantissimi anni) con percorsi di autodidatta, ci sono vegani che si improvvisano educatori alimentari ad ogni occasione adducendo argomentazioni pseudoscientifiche e conducendo arringhe focose, e di fondo alimentati da un radicale atteggiamento antiscientifico (un conto sono le convinzioni personali, altra cosa è certo esibizionismo nevrastenico). C'è poco da fare, mi pare che essere contro la scienza faccia purtroppo sempre più tendenza. E forse non è nemmeno una novità, ma un atteggiamento che prende le mosse da lontano.

Chi scrive non è uno scienziato. Pertanto non posso avere dimestichezza con le tante dimensioni in cui la scienza vive. Se anche fossi un geologo non sarei un biologo, se fossi un biologo non sarei un fisico nucleare e se fossi un fisico nucleare non sarei un astronomo. Intendo dire che ci sono delle ultraspecializzazioni anche nel mondo della scienza che talvolta rendono difficile la comunicazione tra scienziati delle diverse discipline. Questo può essere un problema con ricadute importanti. Eppure, chi vive veramente l'avventura (in senso etimologico) e il viaggio della scienza si sente accomunato da secoli da uno stesso spirito. Ecco, un nodo che va toccato è proprio quello della comunicazione: la comunità scientifica forse dovrebbe sforzarsi di più per raccontare questa avventura e questo spirito, tuttavia questo racconto non è necessariamente compito degli scienziati, non di tutti almeno. Ma lasciamo stare quello che gli scienziati potrebbero fare, visto che tanti di loro fanno già moltissimo, e preoccupiamoci di quello che possono fare i non scienziati, ovvero la maggior parte della popolazione mondiale.

Lungi dal marcare strane idee di purezza della scienza e di accettazione acritica di tutte le ricerche, dei risultati e delle ricadute che produce (anche se il metodo sperimentale basterebbe da sé a garantire una certa integrità di processo e eticità nella ricerca) vorrei qui sollevare alcune osservazioni: questo atteggiamento antiscientifico 1)  è forse frutto di grande ignoranza ma soprattutto di una sempre più insopportabile arroganza; 2) spesso è il risultato di strategie di marketing sedicente etico che nemmeno ci rendiamo conto di assorbire; 3) non giova a nessuno; anzi no, giova a chi gode dei benefici economici di questo atteggiamento antiscientifico (si pensi solo a quante truffe commerciali si nascondono dietro il concetto di naturalezza o di "ritorno alla natura"), mentre nessuno è in grado di calcolare le "perdite economiche" derivanti da tutti i bastoni tra le ruote messi alla scienza; 4) denuncia il fallimento di un progetto di divulgazione scientifica efficace (almeno in Italia dove si vorrebbe passare per divulgazione scientifica una trasmissione come "Voyager") e richiama l'attenzione sulla necessità di una rifondazione della comunicazione scientifica; 5) denuncia altresì un problema rilevante e urgente di rapporti tra scienza e giurisdizione (i vari casi anche italiani degli ultimi decenni o le vicende che mischiano vaccini, autismo e sentenze sono lì a dimostrarlo) e 6) di fondo, richiama inevitabilmente l'attenzione sulla centralità della scuola per arginare questi atteggiamenti antiscientifici che Paolo Attivissimo, sulla rivista "Le Scienze", ha efficacemente correlato a una nuova attitudine "paleosnob". Il problema è che tale paleosnobismo antiscienza, purtroppo, mi pare serpeggiare sempre più anche all'interno delle aule scolastiche (almeno fra elementari e medie, per quel che percepisco) e ciò che allarma è che il buon senso, un concetto ritenuto forse scontato e invece assai scientifico, è sempre più lontano. Ecco, io comprerei un libro breve che affronti e riassuma da vari angoli tutti questi aspetti importanti del nostro vivere. Magari non dovrebbe essere un libro di un solo autore. Se già esiste, consigliatemelo per favore. Temo però dobbiamo leggere molti libri, e non uno soltanto, per sviscerare meglio questi temi centrali della contemporaneità.

venerdì 6 marzo 2015

"Stanze di confine" di Emilio Rentocchini

Nel 2014 la casa editrice modenese Il Fiorino ha proposto il nuovo libro di poesia di Emilio Rentocchini (e ringrazio anche da qui Azzurra D'Agostino per la segnalazione, poiché non mi ero proprio accorto di quest'uscita). Il titolo è Stanze di confine (pp. 96, con una nota di Paolo Donini, prezzo invitante di euro 7) e nel caso di un poeta che ha consacrato all'ottava il proprio versificare verrebbe quasi da pensare a un'accezione metapoetica della parola "stanza", ovvero come a una porzione di un poema più grande, oppure a strofa, parte, gruppo di versi. A ben vedere le ottave di Rentocchini sono anche questo, parte di un lungo poema (ontologicamente un sabiano canzoniere?) che gemma sicuramente da una vita, nonostante un esordio che per le abitudini attuali potremmo definire "tardivo" (ma siano benedetti anche gli esordi tardivi in un tempo dove le generazioni dei "nati negli anni X o Y" sono trattate come pezzi di macelleria per poter vendere meglio il quarto pregiato e anche lo scarto). Per raccogliere un'impressione unitaria e forte della sua produzione ci auguriamo di veder raccolte prima o poi in un corpo unico tutte le ottave. L'ottava è uno schema metrico, visivo e finanche gnoseologico a cui Rentocchini ha prestato una lunghissima fedeltà, tanto che il libro verdolino di Garzanti del 2001 si intitolava semplicemente Ottave (e prima ancora c'era stato Otèvi), uno schema"tradito" nel caso del libro Del perfetto amore uscito per Donzelli nel 2008 (ma lì erano sonetti ed erano in italiano) e prima ancora c'erano stati i calibrati intervalli di ottave e prose di Giorni in prova (sempre Donzelli, 2005).

Che Rentocchini sia un grande poeta, uno dei più affascinanti da percorrere, è qualcosa che persone preparate hanno sostenuto con vigore in modo convincente. Che poi il suo libro esca con una casa editrice non molto nota nello stivale nazionale non deve impensierire nessuno, anzi forse dovrebbe rallegrarci viste le condizioni di trascuratezza in cui gravano le collane di poesia rimaste, quelle che hanno la cosiddetta heritage dalla loro parte (non gliel'ha ordinato il dottore di "tirare avanti", come l'impostazione di base che denunciano spesso lascia pensare). Affronto tangenzialmente simili discorsi perché a volte il problema della circolazione/distribuzione è un falso problema: Stanze di confine ad esempio si trova, si può comprare e ordinare in più modi ed è un oggetto-libro molto più bello di altri suoi simili che escono per certe collane che sopravvivono del riflesso del loro blasone, adoperano carte pessime e tengono altro il prezzo ("tanto il prezzo non conta in poesia", dicono i direttori, dimostrandosi così dei pessimi venditori poiché che il prezzo conta assieme ad altre variabili). 

La sorpresa di ogni ottava non è naturalmente solo un fattore di lingua. Di certo molto si alimenta a partire da quel dialetto sassolese che da decenni lo accompagna e pure nello schema rimico ABABABCC, un'incastonatura che a volte scocca come quel tremore procurato da un orologio a cucù non avvistato e che fruttuosamente tiene in scacco il lettore. La sua poesia regge e sorregge benissimo il lettore tanto in dialetto (per chi riesce ad avvicinarlo) quanto nelle varianti in italiano, tanto che procedendo nella partitura di quest'opera non di rado mi sono tornati in mente certi dibattiti, forse soltanto sopiti per ora, su poesia dialettale e autotraduzione, le punte di una discussione che partendo da Pasolini ha stimolato Gian Mario Villalta, Gianni D'Elia, Fabio Zinelli e un altro grande e affascinante neodialettale dell'area emiliano-romagnola, Giovanni Nadiani (Rentocchini fra l'altro aveva esordito all'inizio dei Novanta sulla rivista "Lengua" dei vari D'Elia, Migliori, Lolini, Roversi ecc.). Prendiamo ad esempio questa ottava, operando un piccolo carotaggio dal libro in questione:

51

In l’ànma di narcìs a gh’è al bèl gèst,
na mort come rinuncia e la spervèrsa
nostalgia ‘d sè riflèsa in al sô incèst:
l’ešélli a se sta sòuvra, al s’atravèrsa
e s’as trascura sèinsa dèrs al rèst,
patria dla nostra stèssa chèrna arvèrsa.
Méi i can chi péssn ai tròunch ed l’indistìnt
e i’s tósen da cunfìn. M’al sél l’è incìnt.

Nell’animo dei narcisi c’è il bel gesto,
una morte come rinuncia e la perversa
nostalgia di sé riflessa nell’incesto:
l’esilio ci sovrasta, ci attraversa
e ci trascura senza darci il resto,
patria della nostra carne rovesciata.
Meglio i cani che pisciano ai tronchi dell’indistinto
ponendosi a confine. Ma il cielo è incinto.


Stanze di confine raccoglie 80 ottave. (Sia detto per inciso della curiosa vicinanza del titolo a quello scelto da un'altra grande autrice dialettale del nostro tempo, Ida Vallerugo, che ha pubblicato Stanza di confine per Crocetti.) Rentocchini lavora a multipli non solo nei versi, ma persino nell'osservare e nel suo aderire alle superfici sguardate. Talvolta appare lontano da tutti i punti del vivente e allo stesso tempo come divorato da questi: che sia la sola e vera solitudine questa? Non lo so. So che leggendo queste ottave ci si libera catarticamente del futuro, e non perché la proiezione sia verso un passato (niente di più sbagliato sarebbe credere in questo), ma perché il futuro è assente in quanto falso, falsificato da qualsiasi nostra proiezione. Siamo un po' tutti ammalati di futuro, no? E se la vita è molto di più "al passato", come voleva Marguerite Yourcenar quando parlava dell'amore del passato e di come pensiamo a questo nel presente ("Quand on parle de l'amour du passé, il faut faire attention, c'est de l'amour de la vie qu'il s'agit ; la vie est beaucoup plus au passé qu'au présent. Le présent est un moment toujours court et cela même lorsque sa plénitude le fait paraître éternel"), le ottave di Rentocchini sbocciano da accumuli di sguardo che si colorano di inusitati e a volte persino gaiamente inconsulti riflessi. Sono strati multipli di pensiero, o di immagini ginniche rivisitate come questo camminare sulle mani che chiude l'ottava n. 42:

A dmandi ed fènd as pol rispènder sòul
con frèsi ed sfrus. Eh, piò as sfurdìga piò
l’elàstigh dla memoria al ciàpa al vòul
e as mètt in testa d’èser -guèrda un po’-
casadòur ed futùr. Ma nòt col sòul
l’è quèll ch’i stròlghen i òc in al falò
ch’as ród. L’òrba, padròuna dl’aria, l’an
gh’ha prèsia. E nuètr andèmm sul nostri man.

A domande di fondo si può rispondere solo
con frasi di frodo. Eh, più si fruga più
l’elastico della memoria prende il volo
e ci mette in testa di essere -guarda un po’-
cacciatori di futuro. Ma notte col sole
è ciò che intuiscono gli occhi dentro al falò
che ci rode. La tenebra, padrona dell’aria, non
ha fretta. E noi camminiamo sulle nostre mani.


Il sassolese sembra calcare soprattutto su un triangolo vocalico intermedio, dove - a me che non lo so e non lo parlo, ma che leggendolo un po' mi pare di sentirlo - si insiste su segmenti di "e" e "o", poi di "i" certamente, mentre la massima apertura e la massima chiusura di "a" e "u" non sono centrali nella fonazione. Il sassolese sembra anche calcare, nel senso di residuo bianco di un'acqua che scorreva dolce, nonostante una certa durezza fonetica, da Rentocchini addomesticata nelle rime, negli incisi, nel passo dei periodi e in ultima analisi nell'ottava stessa. Con questa lingua, che immagino assai diversa dal dialetto che ancora si parla in quell'area, Rentocchini compie degli affondi di pensiero piantando i piedi nella forma dell'ottava, bruciando di meditazioni sorprendenti che prendono l'ossigeno dalla superficie della materia che tratta, sia essa visiva, uditiva, tattile o persino invisibile e soltanto immaginata. Da più parti, riferite a lui, leggiamo formule come "uno dei più interessanti/importanti poeti dialettali" o "uno dei più interessanti/importanti poeti italiani tout court". Queste formule, spesso applicate anche ai giovani, mi stancano tantissimo. Le ottave di Rentocchini si possono solo leggere e meditare, ritoccare nel nostro pensiero, lasciarle precipitare nel vuoto provvisorio che creano talvolta sotto i piedi. La sua lingua-idioletto è una creatura che esplora, ed è come se la traduzione italiana delle sue poesie arrivasse da qualche parte solo perché prima c'è stata la lavorazione manuale del dialetto. E mi congedo con la terzultima ottava di Stanze di confine e con un video dove Rentocchini legge l'ottava n. 5 di questo libro: è bene ascoltare un'ottava e una traduzione.

Un: ogni presèint l’è spietê compiànt
dal tèimp; dû: al tèimp na scusa, un tragatèin
per šrasèr via al presèint; trî: incô n’impiànt
méss sò un po’ acsè; quàter: du figadèin,
tèimp e presèint, ch’i dvèinten man e guant
sòul l’ùltem dè; sinch: òurden e casèin
i’s scùsn un con ch’l’èter; sê: an è mai tèrd
o abàsta prèst in stê bicér ch’al pèrd.

Uno: ogni presente è spietata commemorazione
del tempo; due: il tempo una scusa, un trucchetto
per scacciare il presente; tre: l’oggi un impianto
montato malamente; quattro: due aggeggi,
tempo e presente, che divengono mano e guanto
solo l’ultimo giorno; cinque: precisione e confusione
si giustificano a vicenda; sei: non è mai tardi
o abbastanza presto in questo bicchiere che perde.


mercoledì 4 marzo 2015

Poesie inedite di Giampaolo De Pietro



"al cor gentil ratto s'apprende" è il titolo dello spazio che Librobreve dedica alle poesie inedite. Qui si ospitano testi che probabilmente andranno a costruire nuovi libri di poesia. Si propone come rubrica di solo testo, priva di foto glamour degli autori. L'unica immagine rimarrà quella del ratto qui sopra, identificativa di ogni post, un portafortuna che dedico agli ospiti. La pubblicazione avviene su invito e pertanto non ha senso inviare i propri testi all'autore del blog se non vi è stato prima un dialogo e accordo tra Alberto e chi ha scritto le poesie. Non ho previsto commenti o preamboli ai testi. I lettori invece possono commentare.


Poesie inedite di Giampaolo De Pietro (Catania, 1978)


Chi soffre il rassegnato passaggio delle auto, siamo noi.
Altri occhi a tempo rasserenato si sono adeguati,
e adagiati ai poi senza ritorno.
E vorrò ancora morire in una Grecia ritorta, mi domando.
Ma è una pratica scompaginata
come la vista di quei cani a fine strada, come
l’impressione di riconoscere qualcheduno
dei volti di un passato, a velocità,
tra una puntata mancata e una avveratasi,
ciò che guida adesso è l’aria silenziosa
di un mattino grato di forme laviche e caso indiscreto
per forza,
come il passero sulla ringhiera, non ricordo a che piano.
Non ricordo che metafora e che cavolo, non c’è più che
questa fragile avvertenza. 10 carciofi € 2,50,
molti fiori dalla lenza azzurra
nei loro vasetti di plastica, per tutta questa terra,
si domanda il colore,  l’ombrellone, € 5,00 fascio.
Conta passi in
salita.


triciclo


Momenti cascata. In cui ti senti solo, o con che sia, che senti.
O un vuòto credi stia a sentirti. Un punto, interrogativo,
non scala non curva. Soffia aria soffia.
Continua, accenna il tuo respiro.
Molti registri, ha, tra lo spiritoso e l’arduo.
Consecutivo. Una semplice scusa.