giovedì 23 aprile 2015

"Tre parole sulla Resistenza" di Giacomo Noventa

Il primo scritto di Giacomo Noventa ripreso in Tre parole sulla Resistenza (Castelvecchi, pp. 72, euro 9) si potrebbe leggere a ripetizione in giornate come queste. Dopo aver concluso le poche pagine di Discorso sulla Resistenza e sulla morale politica (del 1947) ho pensato a quanto raramente ci poniamo il problema di come raccontiamo la storia, e qui intendo il racconto degli storici, siano questi storici di professione, statisti, giornalisti improvvisati, letterati, scienziati sociali o altro ancora. La prosa di chi scrive sulla storia non è quasi mai in cima alle nostre preoccupazioni e per questo a volte è interessante ascoltare anche chi, spostandosi dalla prosa, parla di poesia come storiografia. E non si tratta di capire soltanto perché Gioacchino Volpe fosse un grandissimo scrittore o perché altri storici attuali dovrebbero prestare molta più attenzione alla loro prosa sciatta e cascante, pena l'inanità dell'intero loro operato; si tratta anche di capire, piuttosto, perché ogni ragionamento attorno alla storia sia primariamente un trattato di retorica. Ma come?, si chiederà qualcuno. Dopo tutto lo sforzo che proviamo a fare per liberarci della "retorica fascista", della "retorica comunista"? Io credo invece - e leggendo Giacomo Noventa ho delle conferme - che il grosso equivoco di fondo sia aver dato e continuare a dare a "retorica" una connotazione negativa. Retorica è tutto, ovunque ci sia testo e quel conflitto che qualsiasi testo ineludibilmente imprime su una pagina. Mi rendo conto di dire una cosa ovvia per molti, ma forse meno ovvia di quanto si possa credere. E a volte può star bene ripetere anche le cose ovvie, tanto più quando si è vicini a ricorrenze.

E allora il punto più importante e decisivo di questo libretto confezionato con alcuni scritti a tema resistenziale è la distinzione netta tra Resistenza e antifascismo. La prosa storica di cui necessitiamo ha un tremendo bisogno di distinzioni e di pochissime sfumature impressionistiche. I due termini su cui si sofferma Noventa, Resistenza e antifascismo, non sgorgano dalla stessa polla, vanno proprio divelti. Una certa "retorica" (virgolette d'obbligo qui, allora) ha voluto darcele a bere assieme, mescolate come goccette in un bicchier d'acqua e un'altra "retorica", oggi, usa la parola "resistenza" o il verbo "resistere" con un tic fastidioso. Gli uomini della Resistenza, prima ancora di combattere contro il Fascismo, combatterono contro sé stessi. Quest'aspetto della battaglia contro sé stessi è uno dei temi centrali di Noventa ma anche di tanta parte del secolo scorso, basti pensare a un autore come Brecht oppure a Fortini, per tornare in Italia. L'appurare l'esistenza di tale battaglia ci offre la spinta per saltar giù dagli angusti parapetti dai quali si affaccia qualsiasi discorso resistenziale e sulla resistenza, con o senza maiuscola. E di qui, ritornando a Noventa, anche a costo di dover passare dapprima per le sue riflessioni resistenziali, tralasciando momentaneamente il resto della sua opera, è giunto il momento di ridare a Ca' Zorzi un posto di grande pregnanza fra coloro che esercitarono un vero magistero d'azione nel Novecento, nonostante (o forse proprio a causa di) quello scontro irrequieto contro sé stessi che trovò il suo campo di battaglia proprio nel testo e nella retorica (senza virgolette) che ha tentato un racconto tra tanti possibili. Lì sta uno dei motivi che ci riporta continuamente a Noventa, lì - se vogliamo usare un termine che non amo - sta la sua attualità. E per far ciò, va bene ripartire da questi scritti, sia pure nel clima spesso annacquato dalle ricorrenze e soprattutto senza dimenticare che Noventa fu grande poeta. Per chi volesse cimentarsi con altri scritti, con altri suoi testi, resta imprescindibile l'opera monumentale di sistemazione che fece l'editore Marsilio a cura di Franco Manfriani, anche se non guasterebbe una più agile frammentazione e proposta editoriale più continuativa, dal momento che le opere monumentali di sistemazione, pur meritorie, sono spesso la tomba luccicante di uno scrittore.

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