domenica 22 ottobre 2017

I "Pensieri" di Alfonso Gatto tra Saba, Sbarbaro e Savinio

Quote #18

"To repeat or copy the words of another, usually with acknowledgment of the source." Questo il verbo "to quote". Ma in italiano "quote" è il plurale di quota, parola che mi interessa soprattutto nel senso della misura di un'altezza o di un lato. Citando e contestualizzando minimamente passi importanti, cerco un modo assai svelto di dar notizia di libri significativi, possibilmente brevi. Stando breve, pure io.


Impressionanti per mole, estensione e sporgenze questi Pensieri di Alfonso Gatto che l'editore Aragno ha pubblicato in una edizione come sempre di pregio a cura di Federico Sanguineti (pp. 370, al prezzo invitante, considerando la consistenza del volume, di soli 15 euro). Si tratta di grande libro di scrittura aforistica, ma non solo. Vi sono pensieri che superano la misura consueta dell'aforisma e i due esempi che a breve riporteremo ne sono conferma. Il curatore ha anteposto una premessa e ha concentrato il suo lavoro in un implacabile apparato di note che suggella il volume. Sanguineti accosta questo libro a Scorciatoie e raccontini di Saba e a Fuochi fatui di Camillo Sbarbaro (ma anche a La linea gotica di Ottiero Ottieri, la quale, datando 1962, è sicuramente più vicina a Gatto). Naturalmente tornano titoli come Zibaldone e leggendo certi "numeri" di questi pensieri credo possa ritornare alla mente la prosa vibrante delle voci di Nuova enciclopedia di Alberto Savinio (se n'è parlato qui). I pensieri, composti tra il 1964 e il 1971 e conservati in cinque quaderni manoscritti presso la fondazione Alfonso Gatto di Salerno, sono una risorsa sorprendente per avvicinarsi alle illuminazioni e ai fantasmi di una speculazione che si apre all'insegna di una singolare operazione matematica esposta così:


[Diario - prosa = poesia]

Il pensiero seguente, isolato tra i moltissimi altri, a mio avviso offre un bell'esempio di come la mente di Gatto si sganci dalla prime righe per arrivare ad altro. È l'agilità tipica dell'aforisma, della prosa che non ha l'ossessione di essere romanzo o racconto, e nemmeno del finito. E, diciamocelo, quando questa ossessione di impacchettare romanzi o racconti verrà meno si potranno sprigionare vere forze. Forze che forse si sprigionano ora nella migliore scrittura diaristica o aforistica, ora nelle corrispondenze, ora nella prosa filosofica e in altre forme di prosa che possiamo provare a scoprire o a tradurre, se già tentate altrove.
Ho sempre invidiato gli uomini che a quarant’anni restano soli con un figlio di dieci: tra i due è da immaginare la più dolce amicizia, la più delicata tristezza. (Ogni uomo ancora giovane ha sognato di avere un figlio, lasciatogli da una donna partita per sempre, ma non morta.) Chi crede di poterlo negare a se stesso è, quanto all’amore per la donna, un marito o un amante da nulla.
Una delle più flagranti contraddizioni del nostro tempo è che l’uomo si lascia dirigere anche nel timor proprio, cioè nel timore che ha o dovrebbe avere di sé: si lascia pensare e rilanciare in una scommessa d’avvenire, in una continua perdita dei suoi limiti, nello stesso tempo in cui è dominato (e direi “occupato”) dalla paura e dal terrore della morte. Questa paura e questo terrore della morte così restano nella storia, a causa di quel “doppio passo” con cui l’uomo d’oggi, nella fiducia in un progresso più veloce di lui, teme tuttavia di non giungere in tempo a [a soprascritto a per] usufruirne per una vita più lunga, se non addirittura per una rigenerazione, per una rinascita. Una alternativa, insieme primitiva e finalistica punge ed esaspera gli uomini – e non soltanto coloro che al vertice di una fortuna economica possono e potranno assicurarsi gli strumenti della propria longevità e della propria riedificazione fisica – ma anche tutti gli altri, il numero, che è già oggi sono al di qua delle assicurazioni e delle assistenze che la scienza può dare e che ancora di più lo sarebbero domani per gli alti costi economici delle ibernazioni, dei trapianti e di tutte le altre ipotesi di rifacimenti e di riprese vitali che si promettono. È la vera tragedia di una speranza che vuole essere e si dice singolarmente pessimista per quanto ha fiducia in un “futuro collettivo”. (Pensiero 448, pp. 203-205)
Poco sopra, nel numero 445, troviamo un pensiero che si apre all'insegna della scultura e vale la pena riportare. Le incertezze del manoscritto (si è visto anche nel pensiero precendente) sono segnalate puntualmente dal curatore e inondano l'aria della prosa con un sentore di non-finito che si protrae come un bell'interrogativo e talvolta anche come un buon aroma:
Fossi scultore, chiederei ai luoghi, ai particolari silenzi di uno spazio, quale presenza vogliono, quale assenza evocare. Questa presenza, questa assenza, insieme sono la "statua", per la cui identità, raggiunta nella pietra nel bronzo nel ferro - materie dotate di propria autorità e di propria legge interiore atte a contrastare l'intuizione, - ha da essere virtualmente umana, quale umano è ogni segno dell'uomo, anche il più religioso e il più astratto. La statua, cerco di spiegarmi, nasce sempre da una "somiglianza", la "somiglianza" reale e la "statua" ancora irreale. Può "essere" la somiglianza di una cosa che ancora non è, e tuttavia reale, di quale realtà? La statua (la scultura) nasce dall'assedio storico di tutte le presenze che si sono dileguate e che tornano ad apparire e a sparire con una velocità da luce che non ci è dato cogliere. Questo fa sì che è nell'aria di un luogo l'attesa della "presenza"-["]forma" che dovrà abitarlo fermandosi [,] è il veloce apparire-sparire di tutte le altre presenze che per approssimazione si sono via via rivelate e proposte. La somiglianza è l'ironia veloce dell'[ms. della] intuito che sorprende la meditazione. Si dice tempo di uno stesso tempo. In questa meditazione sarà dopo il dominio visuale della presenza-statua, ma è prima in noi ascolto, una pausa nel luogo che andiamo fissando [in interlinea: scoprendo]: e ancora più lo spazio dei nostri pensieri e delle memorie nostre. La "materia" in cui si va concependo la "somiglianza"[;] la probabilità errante è il lavoro sulla materia, verso la materia[,] l'intuito del fare[.] (Pensiero 445, pp. 202-203)

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