venerdì 2 marzo 2018

"Biologia della letteratura. Corpo, stile, storia" di Alberto Casadei

"Biologia della letteratura" che cosa significa? Letteralmente dovrebbe essere la scienza che studia gli esseri viventi e le leggi che li governano applicata a quella cosa che chiamiamo letteratura. Nell'espressione s'intuisce forse, ad un livello epidermico, che si va oltre una biologia della cellula e ci si avvicina a una biologia largamente intesa, che abbraccia le scienze cognitive e neuroscienze, le recenti acquisizioni attorno al dualismo corpo-mente e a quelle che riguardano il superamento della dicotomia natura-cultura. Ma capiamo di più così di questa espressione? Non è che sia l'ennesimo accostamento di termini per dar vita a qualche evanescente disciplina destinata a durare una stagione, magari anche lunga, o a una nuova fantasmagorica cattedra universitaria? No. Il titolo non scalda, ma va bene così, perché è il titolo di uno studio che promette uno sguardo rilevante e parimenti imposta un lavoro lungo e per larga parte, se non da incominciare, da consolidare. Per capirci meglio dobbiamo iniziare a spostarci sul sottotitolo: "Corpo, stile, storia". Questi sintagmi ci dicono invece dei tre termini con i quali Alberto Casadei si confronta lungo tutta la sua puntuta trattazione. Biologia della letteratura (Il Saggiatore, pp. 248, euro 23) porta dunque un titolo che è curiosamente piatto e ambiziosissimo. È normale che sia così, perché non è facile rendere conto di come l'ormai lunga storia delle scienze e delle scienze cognitive - con in testa certe ricerche di Gerald M. Edelman, Gregory Bateson e António R. Damásio, ma anche di Jean-Pierre Changeux assieme a Paul Ricoeur - possa fecondare gli attuali studi di letteratura e di altre espressioni artistiche, le ripetute analisi sul come arriviamo a elaborare nei testi miti, sempre nuove forme o quelle metafore di cui Susan Sontag diffidava, circa negli stessi anni in cui George Lakoff le metteva alla base dei meccanismi cognitivi nel suo celebre studio Metafora e vita quotidiana

Diciamo già che nel libro di Casadei lo sguardo sulla letteratura è prominente, anche se non esclusivo. Si potrebbe leggere in tandem con un altro recente titolo di Michele Cometa, che però si pone al lettore con tutt'altro spirito: Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria (Raffaello Cortina Editore, 2017). L'autore riprende in mano discorsi come quelli che volteggiano pericolosamente attorno a cosa sia "ispirazione" o cosa sia "classico", ragionamenti che da sempre camminano sopra terreni scivolosi. Inoltre - e qui si colloca la parte più innovativa di questo studio necessario  - torna a parlare della cosa più importante: lo stile, non a caso parola centrale del sottotitolo. Il punto di partenza vuole essere un dato assodato, vale a dire il necessario superamento del dualismo tra natura e cultura. Se ne parla da anni, ma la collosità di quel dualismo è dura a morire. La dimensione di vita (quindi anche "biologica") media odierna si trova inondata di stimoli e pulsioni che ci hanno catapultato in un mondo così diverso da quello di poco tempo fa, che con accelerazioni fino a l'altro giorno impensabili ha agito sul nostro cervello e sull'atto creativo. In questo studio, come si enuclea programmaticamente in sede di incipit:
si tenterà di inserire la creazione artistica, e in specie letteraria, nel continuum dei processi biologici, incarnati nell'insieme corpo-mente a partire dal quale si sviluppano le potenzialità e le propensioni umane.
Avrete notato la densità di parole-spia, ognuna fulcro di leve importanti ("creazione artistica", "continuum dei processi biologici", "insieme corpo-mente", "potenzialità" e "propensioni umane"). Per insistere sullo stile, come spiegherà qualche paragrafo dopo
L'inserimento dei processi artistici in un continuum biologico-storico-culturale consente di spiegare meglio la componente essenziale per il cambiamento di status di un oggetto (non solo testuale, e non solo verbale) da semplice entità d'uso a opera adeguata per un riuso nel tempo. Grazie allo stile, inteso appunto come un'elaborazione higher level a partire da forme riconoscibili, non ci si limita a indicare sottili discrimini fra ciò che è creazione e ciò che rimane nel campo della scoperta o dell'invenzione ma si toccano i fondamenti del rapporto dell'artista con il mondo. Lo aveva già intuito Giacomo Debenedetti: «Stile è [...] la scelta del dettaglio suggestivo in mezzo alla congerie amorfa e schiacciante del reale». Di fatto, la questione è semplice: «sia in filosofia sia in letteratura lo stile è sostanza» (George Steiner in La poesia del pensiero. Dall'ellenismo a Paul Celan).
Attenzione, ritmicità, capacità mimetica, metaforizzazione (blending) sono i quadranti dove il cursore di Casadei si muove con agio ed efficacia. L'autore non è nuovo a questi affondi, avendo alle spalle titoli come Poesia e ispirazione (Luca Sossella Editore, 2009) e Poetiche della creatività. Letteratura e scienze della mente (Bruno Mondadori, 2011). Lo stile torna continuamente al centro del triangolo (ora equilatero, ora isoscele, ora scaleno) tra storia, ambiente e biologia del soggetto. La tanto sbandierata interdisciplinarietà, qui così evidente sin dal titolo, è una conquista difficile e non un facile spot pubblicitario e accademico. Oggi l'interdisciplinarietà si contrabbanda con una facilità esagerata, forse di più proprio là dove è carente, e si rischia di giungere a conclusioni sin troppo eclettiche. Questo studio di Alberto Casadei gode di un avvicinamento built-in all'interdisciplinarietà, senza complessi di inferiorità o superiorità tra sfere del sapere, e si conclude ritraendo il corpo umano all'interno dello scenario dove si trova effettivamente, quel cloud rappresentato dal Web e dalle interazioni in rete. 
Un’arte che si pone il problema dell’arte (Blanchot); che si presenta come progetto di vita scritto ai margini del vivere (Celan); che trasforma ogni vincolo coercitivo per far coincidere parole e cose (Foucault); un’arte così caratterizzata non può non darsi come obiettivo fondamentale quello di proporre la co-fondazione di una humanitas che non sia solo la somma delle visioni del mondo attuali, come avevano gia intuito Jean-Pierre Changeux e Paul Ricoeur (1998). Si dovrà verificare quali stili saranno adatti a riproporre e rappresentare la condizione della nuova sfera-Cloud e delle sue interazioni con la corporeità e il pensiero. Ma d’altronde che cosa ha fatto l’arte, dalle sue prime manifestazioni a oggi, se non fondere propensioni biologico-cognitive ed elaborazioni stilistiche?
Inevitabile, giunti alla fine, interrogarsi sui nuovi stili che apriranno le porte a nuove forme di rielaborazione artistica da dentro questa nuvola, nuova metafora delle potenzialità cognitive umane, massa ora densa ora rarefatta. La cosa che pare certa è che non ci sia più uno stare sopra o sotto la nuvola, ma uno stare dentro soltanto.

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